Ecco l’articolo estratto dalla rivista “Il tributo” di Luca Mariotti n.36 del novembre 2017

L’articolo 5, comma 3, del decreto legge 261/90 ha da tempo previsto testualmente che “Per le cessioni e le importazioni di acque minerali e di birra l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto e’ stabilita nella misura del 19 per cento”. Cioè quando si tratta di applicare l’IVA all’acqua in genere si fa riferimento alla tabella A parte III del Dpr 633/72 (al punto 81), applicando l’aliquota del 10 per cento. Quando si passa ad un tipo di acqua che ha caratteristiche di particolare e riconosciuto pregio – tanto da comparire nella predetta regola accanto alle birre – l’aliquota torna ad essere quella ordinaria (oggi 22%).

La normativa iva è scritta per eccezioni: tutto ciò che non è compreso nella tabella A ai fini della riduzione IVA va ad aliquota ordinaria. In questo caso si opera per doppia eccezione: la regola di riduzione esiste nella tabella A, ma la norma del ’90 ha tratto fuori da essa le acque minerali.

La conclusione letterale è di una disarmante semplicità: tutta l’acqua che non è acqua minerale va ceduta al 10%. Quella minerale al 22%.

Ma ecco che in questo panorama di assoluta chiarezza interviene un istituto tributario al cui cospetto anche il cilicio degli anacoreti romani diventa divertente come un rave party: l’interpello. Ovvero quella procedura che se la conosci la eviti, anche dopo le recenti riforme del D.Lgs. 156/2015.

Un contribuente scrupoloso che commercia acqua di sorgente non minerale imbottigliata nei “boccioni” chiede una pronuncia della competente direzione regionale. Questa trasmette il quesito a Roma, alla Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate e il miracolo si compie. L’acqua non minerale diventa minerale…. E meno male che non si è parlato di rap- porti tra acqua e vino, altrimenti i riferimenti biblici sarebbero stati veramente testuali….

Parliamo della risoluzione N. 11/E del 17 gennaio 2014 che, dopo una disquisizione su temi del tutto inconferenti rispetto alla lettera della norma, alla fine arriva a dire che l’unica acqua che resta al 10% di IVA è quella distribuita dalla rete idrica. Ciò, come detto, in un contesto nel quale l’unica distinzione posta dalla Legge è quella tra acqua minerale e non minerale. D’altronde, come diceva Herbert Samuel, il compito della burocrazia è trovare una difficoltà per ogni soluzione.

L’agenzia delle Entrate, per la verità, coglie a contrario, nella predetta risoluzione, uno spunto dell’interpellante che, in modo corretto e sistematico, cita la riduzione dell’aliquota per l’energia elettrica distribuita attraverso la rete, concludendo che analoga limitazione non c’è per l’acqua. Quindi la distinzione non può porsi tra acqua del rubinetto e altri tipi, ma solo tra acqua minerale e non. In termini diametralmente opposti l’agenzia che, valorizzando tale corretta impostazione, conclude invece che essa non rileva proprio perché non c’è una previsione specifica, oltre che per la diversa materia di cui si parla.

La conclusione però è contraria a tale impostazione giacché, andando a cercare una regola pratica che escluda le diverse tipologie di acqua dall’assimilazione (del tutto astratta come detto) all’acqua minerale, la conclusione arriva a decidere che con il termine “acqua” (ad aliquota 10%) si debba intendere solo il servizio di erogazione mediante l’allacciamento alle condotte della rete idrica comunale. Il che evidentemente cozza contro la lettera della Leg- ge. Si ragiona quindi nel solco delle modalità di distribuzione più che su quello della qualità dell’acqua, arrivando ad attribuire all’acqua da bere non minerale (ma non di rubinetto) un’aliquota iva superiore a quella degli sciroppi non aromatizzati o del tè o dello yogurt che scontano iva 10%. Il che è un po’ difficile da capire anche sul piano logico-sistematico.

Ma non finisce qui. Gli uffici locali dell’Agenzia hanno cominciato a indirizzare accertamen- ti a molte aziende del settore. E lo hanno fatto in modo retroattivo, avvalendosi di quanto previsto dalla prassi del 2014. Con qualche dubbio in riferimento al principio di tutela del legittimo affidamento e della chiarezza e precisione delle norme garantita da molte senten- ze della Corte di Giustizia (e ricordiamo che siamo in ambito IVA – tributo amministrato – e quindi tali criteri pesano).

Le prime pronunce delle Commissioni Tributarie sono tutte favorevoli al contribuente. Si ha notizia almeno di due pronunce della CTP di Modena e una della Ctp di Bologna (sentenza 1232/09/16), secondo le quali la cessione dell’acqua di sorgente sconta sempre l’aliquota ridotta.

Secondo la Commissione di Modena, nella sentenza più recente, l’art. 2 del D.Lgs. 31/2001 – attuativo della Direttiva 98/83/CE, relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano – intende per acque destinate al consumo umano “le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori” La CTP di Modena definisce quindi l’acqua dei boccioni come acqua di sorgente destinate al consumo umano, distinguendola dall’acqua minerale e applicando l’aliquota agevolata del 10% prevista dal n. 81 della tabella A parte III del DPR 633/72.

Nel frattempo gli operatori del settore si stanno adeguando alla prassi pur non condividen- dola. Per evitare di essere destinatari in futuro di accertamenti, con relative sanzioni e diffi- coltà di rivalsa nei confronti dei loro clienti. Con un impatto minore sull’attività di chi lavora esclusivamente per aziende o uffici in genere (soggetti iva che detraggono quella pagata a monte) e riflessi invece molto più marcati su coloro che forniscono acqua di sorgente ai pri- vati, con un aumento del prezzo finale del 12%. Acqua che diventa quindi improvvisamente più cara per l’aquirente di una percentuale importante.

Ma nelle vicende italiane ai limiti del grottesco la fine non arriva subito, con un provve- dimento correttivo della risoluzione precedente come sarebbe opportuno. La questione è giunta invece in Parlamento. Gli On. Ginefra e Pelillo il 13 ottobre scorso hanno presentato un’interrogazione a risposta scritta, relativamente alla questione. Si attendono sviluppi. Cer- to che sarebbe auspicabile non vedere il solito rituale con il MEF che chiama a rispondere l’Agenzia delle Entrate che, per non perdere la faccia, insiste nelle proprie posizioni. Forse è sufficiente un intervento diretto del Ministro, semplicemente a ribadire ciò che viene inse- gnato a scuola, ovvero che “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”.

Atto Camera

Interrogazione a risposta in commissione 5-12454

presentato da GINEFRA Dario
testo di Venerdì 13 ottobre 2017, seduta n. 870

GINEFRA e PELILLO. — Al Ministro dell’economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

negli ultimi mesi l’agenzia delle entrate ha emesso numerosi accertamenti con cui ha rettificato l’aliquota iva applicata per la cessione di acqua di sorgente;

recependo la direttiva comunitaria 2009/54/Ce, anche in Italia è stata regolamentata (con il decreto legislativo n. 176 del 2011) la distinzione tra le acque minerali e le acque di sorgente;

sotto il profilo fiscale, la tabella A parte III del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (al punto 81) elenca tra i beni soggetti ad aliquota iva ridotta del 10 per cento l’acqua e l’acqua minerale, rientranti nel codice di nomenclatura combinata;

a modificare il trattamento iva dell’acqua minerale è stato poi l’articolo 5, comma 3 del decre- to-legge n. 261 del 1990, che l’ha assoggettata all’aliquota ordinaria, allora del 19 per cento (ora è al 22 per cento);

emerge quindi che per l’«acqua» si applica l’aliquota al 10 per cento mentre per «l’acqua mine- rale» quella ordinaria;

l’agenzia delle entrate, con la risoluzione 11/E/2014, ha equiparato le acque di sorgente alle acque minerali, perché vengono commercializzate alle stesse condizioni;

secondo questa interpretazione, si applicherebbe quindi l’aliquota iva ordinaria sia all’acqua minerale sia a quella di sorgente;

con la suddetta risoluzione si riterrebbe che con il termine «acqua» si debba intendere solo il servizio di erogazione mediante l’allacciamento alle condotte della rete idrica comunale;

questa interpretazione, in realtà, sembrerebbe contrastare con la norma secondo la quale l’ali- quota del 10 per cento è riferita a tutte le cessioni di acqua e non soltanto all’erogazione attraverso il servizio idrico comunale;

gli uffici, inoltre, applicherebbero retroattivamente i chiarimenti contenuti nella risoluzione rettificando così l’iva anche per i periodi precedenti il 2014, anno in cui è stato emesso il docu- mento di prassi;

sotto questo profilo si potrebbe ritenere lesa anche la tutela del legittimo affidamento del contribuente;

le imprese nei cui confronti vengono notificati gli accertamenti, da un lato, si vedono contesta- re una maggiore iva dovuta, dall’altro, essendo trascorso molto tempo, risultano essere impossibilitate dal recuperare dai propri clienti la maggiore imposta;

a parere degli interroganti la normativa fiscale può essere modificata soltanto dal legislatore e, perciò, non si dovrebbe estendere, con mera interpretazione, tale trattamento anche a tipologie di acqua diverse;

tale principio sarebbe stato ribadito dalla Commissione Tributaria provinciale di Bologna che ha sconfessato l’Agenzia con sentenza depositata il 4 novembre 2016 affermando che «le cessioni dei beni in questione erano da considerarsi cessioni di beni alimentari suscettibili di applicazione dell’aliquota agevolata in base al n. 1, Allegato III, direttiva 2006/112/Ce. Viene negata l’equipa- rabilità economica effettuata dall’Agenzia, affermando invece la legittimità di applicazione dell’a- liquota iva agevolata»;

a confermare questo orientamento vi sarebbe la successiva pronuncia della Commissione Tributaria provinciale di Modena 570/2/2017 depositata il 25 luglio 2017 che ha fissato il principio che la commercializzazione di acqua i sorgente, anche se operata attraverso la distribuzione in bottiglia o boccioni, sconta l’Iva agevolata al 10 per cento;

è inoltre evidente che, in presenza di tale incertezza giuridica, viene a determinarsi una situa- zione di palese concorrenza sleale tra operatori del settore –:

se il Ministro sia a conoscenza di quanto richiamato in premessa e se non ritenga opportuno intervenire con un’apposita iniziative chiarificatrice, al fine di evitare un inutile contenzioso tributario e restituire un quadro di certezza fiscale agli operatori.